Lingue e culture di ceppo latino, tedesco, slavo e ungherese si incrociano e mescolano da secoli sulla Frontiera adriatica. Dalla Valle dell’Isonzo e dal Golfo di Trieste fino alla sponda orientale del Mare Adriatico, alle Bocche del Cattaro, al Carso, alle Alpi Bebie e Dinariche, le coste e l’entroterra della frontiera adriatica per secoli sono state interessate dalle scosse telluriche imposte da complessi meccanismi che hanno coinvolto ciclicamente le popolazioni di frontiera. E ci impongono ancora uno sforzo di ricerca e riflessione sui concetti di popolo e popolazione, stato e nazione, confine e frontiera, su come e perché ci percepiamo italiani.
Nel 70° anniversario del ricongiungimento di Trieste all’Italia (26 ottobre 1954) il MIM ha coinvolto docenti e dirigenti scolastici nel XV Seminario su ‘Le complesse vicende della Frontiera adriatica dal Primo al Secondo dopoguerra’.
Dal 24 al 27 ottobre il Museo del 900 di Mestre ha ospitato storici e ricercatori del Gruppo di lavoro del MIM per la conoscenza della storia degli esuli istriani, fiumani e dalmati impegnati nel lavoro di divulgazione e disseminazione sui risultati della ricerca storica e storiografica dedicati al ‘confine mobile’.
Una vicenda complessa su cui persistono forme di rimozione e carenze informative e documentali. Molti ancora i documenti che attendono di essere desecretati e studiati.
Cruciali per la nostra memoria recente, gli anni che vanno dal primo al secondo dopoguerra e che ridefiniscono i confini italiani attraverso i Patti di Belgrado (1945), Parigi (1947), il Memorandum di Londra (1954) ed Osimo fino al 1975.
Una storia recente ed in gran parte sconosciuta, rimossa sebbene abbia interessato circa 300mila persone indotte o costrette all’esodo di cui 250mila italiani e 50mila sloveni e croati di origine istriana che non hanno inteso rimanere sotto il governo jugoslavo titino.
Un esodo che si ripete ad ondate: tra il ’43 e il ’44 investendo l’area di Spalato e Zara, tra il ’45 e il ’57 di Fiume e Pola e tra il ’53 e il ’56 della Zona B del Territorio Libero di Trieste. Esodi che avvengono in corrispondenza dei trattati di pace, appunto, che concedendo un ‘Diritto di opzione’ in base alla lingua d’uso nelle famiglie, portano con sé un forte carico emotivo.
Esodi causati da considerazioni politiche, economiche e sociali generate da una psicosi collettiva conseguenza anche all’orrore delle foibe. A migliaia gli italiani spinti anche a percorrere rotte transoceaniche. Stati Uniti, Australia, Canada e Sudamerica, in particolare.
Secondo i dati dell’International Refugees Organization, l’82% degli esodati rimasti in territorio italiano rimane nelle regioni del nord Italia, il 10% in Italia centrale e l’8% a Sud e nelle isole. Una parte di questi ultimi, minori, finisce a Brindisi, ospite del Collegio Tommaseo.
Vicende locali, dunque, che travalicano tempo e spazio e si incastonano nel più ampio contesto delle logiche della Guerra Fredda mentre in Italia vengono riproposti i ‘vecchi arnesi del fascismo’ (S. Pertini, Intervista con la Storia, di Oriana Fallaci), la Dottrina Truman chiede il contenimento del blocco sovietico, Churchill nel Discorso di Fulton parla di ‘cortina di ferro’ e di strategia della rappresaglia massiccia, si sorvola sulle violenze di Tito, spina nel fianco di Stalin, visto come il nuovo Hitler.
In questo contesto di errori e buchi della Storia nasce una seconda resistenza attraverso il Comitato di Liberazione Nazionale istriano di Pirano, antifascista e però anche contrario rispetto alle mire annessioniste di Tito. Inviso e perseguitato dalle autorità jugoslave, il CLN opera tra il 1946 e il 1954, quando l’Istria perde definitivamente i territori della Zona B.
In un complesso e sfaccettato contesto di gruppi etnici diversi e di diverso orientamento politico, con diversi obiettivi politici, l’Ozna, la polizia segreta jugoslava, è incaricata di ‘eliminare i nemici del popolo’. Chiunque si opponga o sia sospettato di esserlo, subisce dure rappresaglie. Gli antifascisti del CLN che possono contare sull’appoggio della società civile finiscono, quindi, tra gli obiettivi della violenza organizzata dell’Ozna in quanto anti-annessionisti. Migliaia le sparizioni e l’occultamento delle persone eliminate e occultate nelle cavità carsiche, le foibe, nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945. Anti fascisti, possidenti terrieri, squadristi e podestà, tutti uniti dal medesimo destino in quanto ritenuti incompatibili con il nuovo regime comunista di matrice titina.
Eppure i profughi e le vittime del regime gettate negli inghiottitoi carsici vengono indistintamente avvertiti come l’avanguardia di un fascismo, ormai, sconfitto.
In questo contesto, a Parigi, il 10 febbraio del ’47 viene firmato un Trattato di Pace che sarà contestato da personaggi di spicco della cultura italiana, come Benedetto Croce, in quanto comporta la confisca dei beni di molti italiani, la cessione alla Jugoslavia di Zara, Fiume e gran parte dell’Istria. Un trattato iniquo che pretende di tirare confini col righello in aree di millenaria mescolanza linguistica e culturale in un contesto geopolitico mutato rispetto a pochi anni prima.
Una storia che nell’attuale e infuocato panorama merita di essere ricostruita con pazienza, per restituire dignità a chi, in un contesto di degenerazione dell’espressione umana, ha tentato di resistere ad ogni forma di totalitarismo.
Il XV Seminario ha coinvolto i partecipanti anche con una visita alla Mostra IRCI ‘1954’ di Trieste curata dal Dott. Piero del Bello, alle innovative mostre interattive dedicate alla Frontiera adriatica e al tema della migrazione organizzate dal Museo del 900 di Venezia Mestre, curati dal Dott. Livio Karrer, una tappa alla Foiba di Basovizza, alla città di Trieste durante i festeggiamenti del 26 ottobre e con lo spettacolo teatrale di Simone Cristicchi presso il Politeama Rossetti dedicato a ‘Trieste 1954’ con l’orchestra del Teatro Verdi di Trieste e il Coro del Friuli Venezia Giulia.
Uno spettacolo che ben riassume gli sforzi formativi messi in campo dal MIM e intesi a favorire una cultura di pace improntata al ricordo, si, ma disinnescando ogni sentimento di rivalsa o ritorsione.
0